breve storia degli anni ’50

Memorie del decennio che ha cambiato l’Italia

“L’ascolteranno gli americani che proprio ieri sono andati via, Serenella ti porto al mare, ti porto via…”

Così canta Amedeo Minghi in una della sue canzoni più belle e conosciute “1950”. Ma come vivevano le Serenelle di quegli anni, com’era la vita nel decennio che vedeva la fine della guerra e la speranza di un futuro migliore?

Panorama generale degli anni ‘50

Mentre nel mondo si affaccia lo spettro di una possibile guerra nucleare con l’intervento degli americani in Corea e a livello nazionale la lotta politica contrappone la Democrazia Cristiana, che ha stravinto le elezioni del 1948, al Partito Comunista, la vita quotidiana della gente vuole riprendere un ritmo più gioioso, stanca del dolore e della distruzione della Seconda Guerra Mondiale.

Nel 1947 viene inaugurato il Piano Marshall: un programma americano di aiuti economici per supportare la ricostruzione dei paesi alleati in Europa. Da questa parte dell’oceano la miseria è ancora tanta, ma si comincia a intravedere un futuro più roseo. Un buon inizio fu la “Mostra delle attività economiche e produttive”, una manifestazione organizzata a Bergamo, che si limitò al territorio provinciale presentando 300 espositori in tutto, ma lanciò un segnale. Il numero dei visitatori andò oltre ogni previsione più azzardata: ben 200.000 persone si aggirarono nei padiglioni che rimasero aperti per 18 giorni, dal 26 agosto al 12 settembre.

Si calcolò un giro d’affari per alcune centinaia di milioni, cui andavano aggiunte ordinazioni per cifre non inferiori. Era partito il momento della ripresa.

Piccole memorie grandi sogni

Quella che si affaccia al nuovo decennio è un’Italia povera e analfabeta ma ricca di creatività e buona volontà. Gli stipendi, per i pochi fortunati che ne hanno uno, sono bassi ma la voglia di leggerezza è altissima. Così, mentre la paga di un operaio si aggira intorno alle trenta mila lire al mese, si producono 110.000 lambrette l’anno al costo di centoventicinquemila lire l’una.

La Lambretta è l’oggetto forse più desiderato di quegli anni. Complici Gregory Peck e Audrey Hepburn, che nel film “Vacanze Romane” vanno in giro per la città eterna sulle due ruote, la Lambretta diventa il simbolo della gioventù, della libertà, della gioia di vivere, delle corse verso il mare.

E mentre gli americani vanno via, portando con sé le famose am-lire (banconote stampate negli Usa durante il conflitto e introdotte in Italia dalla Amg, l’Alllied military governement), rimaste in circolazione fino a gennaio del 1950, e da Roma Ciampino la LAI (linee aeree italiane) inaugura il primo volo diretto Roma-New York, la giovane Italia fa i conti con la filosofia del “vorrei ma non posso”.

Lambretta locandina anni 50
rivista-Grand-Hotel-anni-50

Le ragazze e i ragazzi degli anni ‘50

Grandi sogni, grandi desideri, piccole possibilità. E allora ci si consola con il Grand Hotel, il calcio, la musica, i film. Le ragazze fantasticano attraverso le storie del Grand Hotel, il famoso rotocalco creato da Cino Del Duca nel 1946. Sulle sue pagine si può sognare a occhi aperti, sognare su quei visi di uomini e donne così belli e così ben disegnati da Walter Molino, su quelle storie strappalacrime, confortanti, dove l’amore ha sempre il lieto fine.

Le ragazze italiane si incantavano su quelle pagine patinate mentre lo stilista svizzero Louis Eard e il sarto francese Jacques Heim lanciavano il bikini, subito proibito perché considerato disdicevole visto che lasciava scoperto l’ombelico.

Così la principessa Margaret, sorella della regina d’Inghilterra, finisce sui giornali, fotografata in Costa Smeralda con indosso il trasgressivo due pezzi, e nel frattempo in Italia, su certe spiagge di facili “costumi”, come in Versilia e in Romagna, arrivano i carabinieri, ovviamente in divisa, a constatare, ammonire, misurare e dare il foglio di via al due pezzi troppo audace.

Gina Lollobrigida bikini anni 50

Memorie dei tempi andati! La caccia al bikini è stata infatti ufficialmente lanciata dal governo democristiano, guardiano del comune senso del pudore, e dovranno passare alcuni anni prima che il costume “scostumato” possa essere lasciato in pace.

Intanto Marilyn Monroe si fa fotografare con un sia pur castigato bikini (che non fa vedere l’ombelico) e invece “la più bella del mondo”, all’epoca Brigitte Bardot, infischiandosene, si reca in visita sulla portaerei Enterprise con un bikini ridotto al minimo. L’accompagna il marito Roger Vadim che, raccontando l’episodio nel suo libro “Bardot, Deneuve, Fonda”, scrive che lei aveva indosso “un’ombra più che un indumento” e conclude: “Quando lasciò la nave, Brigitte si era fatta duemila amici”.

Gina Lollobrigida è tra le prime attrici italiane ad esibirsi con l’ombelico scoperto, facendosi fotografare con un bikini a pois a bordo di una piscina romana: si dice che, proprio grazie a questa foto, la Lollo sia stata poi chiamata in America dal produttore Hughes, il quale la scritturerà per il film “Trapezio“.

Brigitte Bardot bikini 1953

Il bikini non è la sola rivoluzione di stile per le donne, ma di moda e make-up parleremo dopo. I giovanotti, sempre innamorati di qualche ragazza che li faceva spasimare, invece, passavano le loro giornate a parlare di sport e sognare di vincere il tredici al totocalcio. Il tifo per la squadra del cuore segnava l’appartenenza a un gruppo, cementava le amicizie.

Schedina Enalotto anni 50

Il fenomeno del tifo calcistico nasce proprio in Italia negli anni ’50, quando i primi tifosi di squadre di calcio iniziano appunto a riunirsi in gruppo. Solo successivamente si diffonderà anche in altri paesi, soprattutto in Inghilterra.

La partita era l’appuntamento della domenica pomeriggio, quello a cui non si poteva mancare. E poi cos’era la domenica senza la schedina? La scommessa fatta al bar con gli amici sui risultati delle partite era un rituale per milioni di italiani speranzosi di ovviare magari a una delusione sul campo della propria squadra del cuore, con un riscatto milionario che avrebbe cambiato loro la vita.

Il concorso nato nel 1946 dall’idea di tre giornalisti, Massimo Della Pergola, Fabio Jegher e Geo Molo, con l’obiettivo di stimolare lo sport e ricostruire gli impianti sportivi danneggiati dalla guerra, comprendeva 12 partite a cui ne fu aggiunta un’altra nella stagione 1950-1951, con il sogno di poter un giorno urlare il fatidico: “Ho fatto tredici!”.

Le Canzoni

Comuni a tutti, ragazzi e ragazze, era l’amore per la musica e per il cinema. L’Italia degli anni ’50 è un’Italia canterina, e nascono una dopo l’altra più di 500 manifestazioni canore su tutto il territorio nazionale. Inutile dire che la più importante è il Festival di Sanremo, nato appunto come festival della canzone italiana nel 1951. Venti canzoni in gara e solo tre cantanti ad eseguirle. La prima vincitrice fu Nilla Pizzi con “Grazie dei fiori”.

Il Festival di Sanremo, grazie al fatto di essere trasmesso dalla radio, e poi dalla Tv, divenne di lì a poco la più importante vetrina della canzone italiana nella sua versione nazional-popolare, intrisa di retorica e di buoni sentimenti. Il bisogno di musica rende la Radiomarelli un oggetto del desiderio. Diciottomilalire per sognare ascoltando le canzoni. E poiché si vogliono vedere in viso i cantanti, ecco un fiorire di riviste che pubblicano immagini e testi di canzoni. Nasce nel 1952Sorrisi e Canzoni” che aveva come sottotitolo: “Tutti i successi delle canzoni, varietà, radio e cinema”.

Effettivamente, nell’immediato dopoguerra, la canzone italiana sembrò travolta dall’invasione della musica e dei balli americani, portati dalle truppe d’occupazione: il jazz, il boogie woogie e successivamente il rock and roll. Ma durò poco, e la rinascita della canzone italiana avvenne su due direttrici.

Da una parte tornò in auge la canzone regionale: quella napoletana, sempre in primo piano, a Roma con l’astro nascente Claudio Villa, e in Romagna con Raimondo Casadei, che dopo avere composto migliaia di balli lisci, produsse nel 1954 la canzone-simbolo di quel genere: Romagna mia. Tutto già sentito, sembrerebbe.

Si ebbero però voci innovative nella canzone napoletana che si rilanciò in forma di canzone da night, con Roberto Murolo e con il sestetto di Renato Carosone, che nel ’55 inaugurò La Bussola in Versilia, e si costruì uno stile originalissimo, basato sull’incastro di codici musicali americani e tradizione partenopea, e sulla teatralizzazione degli spettacoli.

Renato Carosone anni 50

Dall’altra parte, si riaffermò la tradizionale canzone melodica, “all’italiana”, quasi sempre d’amore e strappalacrime, e in gran parte ispirata a valori tradizionali come la patria, le tradizioni, la mamma.

Benché all’insegna della restaurazione, la musica degli anni ’50 fu comunque attraversata da vere e proprie rivoluzioni tecnologiche. Nel 1953 sbarca in Italia l’americana Rca, colosso multinazionale della discografia, che introduce una filosofia del marketing ancora ignota alle nostre case discografiche.

Nel 1954 nasce la televisione, e dal ’57 uno dei suoi programmi più popolari (oltre a Carosello) diventa una gara di riconoscimento di canzoni, “Il musichiere” (sul modello dell’americana “Name this tune). Lo presentava Mario Riva, con una sigla del Maestro Gorni Kramer, “Domenica è sempre domenica”, che tutti gli italiani sapevano canticchiare a memoria. Inoltre nel 1955 era sbarcato in Italia, direttamente da Chicago, il juke-box. Collegato ad esso, un’altra rivoluzione, il disco 45 giri in vinile, nato negli Usa che a metà degli anni ’50 sorpassò il vecchio 78 giri, per poi soppiantarlo del tutto.

La televisione intanto si impone non solo come strumento di svago, ma anche come centro di aggregazione e di amicizia. Ci si raccoglie intorno al piccolo schermo tra parenti, amici e vicini di casa. L’Italia tutta si ferma il giovedì sera per far seguire agli spettatori le puntate di Lascia o raddoppia? programma condotto da un giovanissimo Mike Bongiorno rientrato da poco dagli Stati Uniti. Finalmente le voci hanno volti. La televisione è una rivoluzione epocale per l’Italia che cerca di rialzare la testa.

Domenico Modugno anni 50

La fine del decennio fu per l’Italia l’inizio del “boom economico” e di importanti trasformazioni socio-culturali. Simbolo del ritrovato benessere un giovane cantautore pugliese, Domenico Modugno, che si presentò al Festival di Sanremo con una canzone composta assieme al paroliere Franco Migliacci, Nel blu dipinto di blu, divenuta famosa come Volare. Un vero trionfo! Anche se la lingua era lontana dal parlato corrente, c’era molto di nuovo: la voce particolarissima, la sua gestualità così diversa dalla norma (le braccia spalancate), la musica ritmata, con echi del rhythm and blues, le parole liberatorie e gioiose che costituirono una miscela esplosiva.

Anche nella musica, era di colpo finito il lungo dopoguerra. Modugno fece volare i sogni degli italiani e conquistò il mondo: negli Stati Uniti Volare rimase in testa alle classifiche di vendite per 13 settimane, fu interpretata dai maggiori cantanti (come Frank Sinatra e Dean Martin) e nel mondo vendette 22 milioni di dischi, seconda solo a Bianco Natale di Bing Crosby (fino ad allora). Sono gli anni in cui si fanno strada cantanti come Mina e Adriano Celentano.

Lascia-o-raddoppia-Mike-Buongiorno-Totò-anni-50

Cinema! Cinema!

Accanto a riviste, tv e musica ruolo importantissimo ebbe il cinema. Quanti ne abbiamo visti, amati, rivisti dei film girati proprio negli anni ’50? Accanto a un cinema internazionale che portava in Italia star come Marilyn Monroe, Brigitte Bardot, Ingrid Bergman, Grace Kelly e attori come Cary Grant, James Dean, Rock Hudson, il cinema italiano percorreva due strade: quella dei grandi registi che iniziavano le loro produzioni che avrebbero segnato la storia del cinema italiano e quella dei film più leggeri, semplici e divertenti. Rossellini, Visconti, un giovane Fellini, Vittorio De Sica e Cesare Zavattini sono solo alcuni dei registi che firmano i film importanti degli anni ’50. Da “Stromboli terra di Dio” a “Miracolo a Milano” e “Napoli milionaria” in Italia, nel solo 1950 si realizzano 104 film, ma solo 72 riescono a superare l’esame attento della censura.

E mentre il neorealismo inizia a imporsi, i testi di Guareschi ci regalano i film dove il confronto politico è duro ma divertente con i mitici Peppone e Don Camillo che ancora oggi riescono a strapparci un sorriso. Si afferma Totò e Alberto Sordi diventa il simbolo del giovanotto un po’ timido e un po’ sbruffone che tanto piace alle ragazze.

Poster Quo Vadis 1951
Sophia Loren nel 1955

Le attrici italiane fanno sognare anche gli americani, Gina Lollobrigida, Sophia Loren, Anna Magnani, solo per nominarne alcune. Accanto a questi due filoni, si producono tutta una serie di film a basso costo che portano sul grande schermo la vita e la semplicità quotidiana, i sogni, i desideri e le lotte dei ragazzi della porta accanto.

Alcuni senza infamia né lode, altri rimasti a tramandare le memorie di quegli anni. Chi non ha amato “Poveri ma belli”? Cinecittà stenta però a ripartire, ma i benefici legislativi che impongono agli americani di realizzare film in Italia, portano nuova linfa. Il kolossal “Quo Vadisviene girato a Roma e i cine notiziari dell’epoca registreranno il fenomeno di legioni di romani accampati nei pressi di Cinecittà in attesa di una comparsata, cioè di un qualsiasi lavoro, in costume o in abiti civili, per rimediare qualche biglietto da mille.
Anche il cinema, come la partita, era un rito della domenica pomeriggio.

Poche centinaia di lire per guardare un film abbracciati alla fidanzata, che facevano dimenticare la disperazione per la partita persa o esaltavano la gioia per la vittoria conquistata. Le ragazze, ben contente di questa pura intimità conquistata, sognavano vestiti e pettinature come quelli delle attrici e se il loro ragazzo faceva un commento sul fisico di una maggiorata, tenevano il broncio fino a sera.

Le sale cinematografiche erano sempre piene. Nel 1955 si ha il massimo numero di biglietti d’ingresso venduti: 800 milioni; però, in questo periodo, inizia un fenomeno inaspettato con l’arrivo della neonata televisione che dirotta il pubblico verso il piccolo schermo: molti cinema si adatteranno a interrompere la proiezione cinematografica il giovedì sera per far seguire agli spettatori le puntate di Lascia o raddoppia?.

Don Camillo e Peppone il ritorno

Moda e stereotipi: gli stili che hanno cambiato l’Italia

Sulle riviste, intanto, accanto ai cantanti nazionali, arrivano, insieme alle attrici straniere, le pin-up. D’estate, a Portofino e Riccione le belle ragazze procaci si esibiscono per lo più in prendisole, così si chiamava allora il costume intero munito di gonnellino, mentre a Capri si vedono i primi shorts, le camicette annodate in vita, i favolosi pantaloni alla pescatora, le cuffie di petali di gomma e i grandi cappelli di paglia. Le leggendarie maggiorate, strizzano seni, fianchi e curve che esplodono in un nuovo tessuto che si chiama helanca, un nylon crespato estremamente elastico che non si stropiccia, non si stira e si asciuga in fretta.

Negli anni ’50 nascono anche tanti degli stereotipi che ancor oggi troviamo nelle pubblicità occidentali: l’immagine della famigliola felice, quella della casalinga perfetta che passa l’aspirapolvere con i tacchi addosso, quasi tutti importati dagli USA che vengono visti come un modello a cui ispirarsi per uno stile di vita nuovo, dinamico e al passo coi tempi.

Casalinga anni 50

 Alla radio Carosone canta “Tu vò fa’ l’americano”, rispecchiando perfettamente la tendenza di quegli anni.
In fatto di moda però è l’Europa a dettare legge.

Christian Dior in una Parigi ancora segnata dalla guerra lancia la silhouette a clessidra, fatta di ampie gonne e vitini di vespa che rimarrà in voga per tutto il decennio, accanto ai classici tubini stretti alle ginocchia. “It’s a New Look!” esclamano estasiate le donne americane, che accanto alla moda francese iniziano ad indossare pantaloni stretti alle caviglie e anche i mitici jeans, che però arriveranno in Italia solo più tardi.

Dopo anni di guerra, di razionamento, di economie e di fatica, le donne non vedono l’ora di riscoprirsi frivole e vezzose. E a Dior, basta una sola collezione per spazzare via l’austerity e le miserie del conflitto.
E mentre le donne scoprivano anche la cipria e si affermava il neo alla Marilyn Monroe, l’Italia si risvegliava d’estate, mèta di turisti soprattutto americani che magari tornavano per rivedere i posti che avevano appena contribuito a rendere liberi.

Pinup 1950

E in estate si corre al mare…

Tante, tante cose, ma l’anima degli italiani manteneva la semplicità e la leggerezza che erano e sono sempre stati i tratti distintivi di una nazione che tante ne aveva viste e subite. Si, c’era l’emigrazione, la disoccupazione era alle stelle. Bisognava ricostruire.

Ma non appena il ricordo della guerra cominciò a svanire, lasciando il posto all’impellente necessità di realizzare i propri desideri, più di ogni cosa divenne irrinunciabile la gita al mare d’estate. Turisti della domenica o villeggianti settimanali, le spiagge brulicanti di corpi erano la destinazione agognata da tutti e che a tutti pareva regalare l’opportunità di riscatto dalla propria vita difficile.

La spiaggia, quella libera, veniva raggiunta con ogni mezzo. Il treno, la bicicletta, la lambretta e per qualche fortunato anche l’automobile. Non essendoci le restrizioni di sicurezza dei nostri giorni, era normale incrociare un’intera famiglia avvinghiata sul sellino di una vespa oppure un paio stipate dentro a una Bianchina.

Niente aria condizionata, i piccoli sulle ginocchia dei più grandi, e le borse stracolme di cibo. Tutti in coda sulla strada per il mare. Arrivati, si scaricava la famiglia e si cercava il parcheggio migliore, quello all’ombra. Le mamme controllavano attentamente i costumi delle figlie, meglio se interi e coprenti, e i bambini organizzavano da soli i loro giochi. Qualche signora azzardava il due pezzi, ma non come quello visto al cinema. Era un bikini all’italiana, che dopo le prime persecuzioni, aveva preso piede: mutanda alta e reggiseno bello scolpito.

Le madri non sempre osavano il costume. Meglio la vestaglietta. I piccoli spesso nudi o con le mutande bianche, di cotone rigatino con la tasca, che si sformavano con il peso dell’acqua. I ragazzi e i papà con il tradizionale pantaloncino blu.

Gelati Motta Anni 50

Si piantava l’ombrellone con l’apposita tenda per riparare da sguardi indiscreti e si stendevano piccoli teli sulla sabbia per potersi sedere. Se si avevano figli non era facile rilassarsi: bisognava fare attenzione che i piccoli non facessero il bagno troppo presto e che i giovanotti non si avvicinassero troppo alle proprie figlie adolescenti.

A mezzogiorno pastasciutta, frittata, cotolette e cocomero. Tutto annaffiato con del buon vino. Alle mamme toccava apparecchiare e sparecchiare, esattamente come se fossero a casa. Nelle ore più calde gli adulti riposavano e i ragazzi passeggiavano, scambiandosi le prime occhiate e qualche appuntamento.

Arrivava il pomeriggio e dopo una partita a bocce con il vicino di ombrellone ci si preparava a smontare tutto per rientrare a casa. La domenica era passata tra chiacchiere, bagno di mare o di sole, a seconda dei problemi fisici da risolvere e sabbiature, volontarie o forzate. Si tornava alla vita di sempre in attesa della domenica successiva, stanchi ma felici.
Era il 1950

Pranzo di ferragosto al mare anni 50

È tondo quest’anno è come un pallone
Che tiro diretto e che bell’effetto al mio cuore,
Serenella, coi soldi cravatte vestiti di fiori
E una vespa per correre insieme al mare…”

Amedeo Minghi

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